Engel & Völkers
  • 3 min di lettura
  • 01.09.2023
  • da Michaela Cordes

Patagonia – Terre ai confini del mondo

Fotografia di: Australis

Immensi ghiacciai, circondati da un paesaggio incontaminato. La Patagonia è la meta da sogno di qualsiasi avventuriero. GG ha partecipato a una crociera fuori dal comune. Da Ushuaia in Argentina, via Capo Horn, fino a Punta Arenas in Cile.

Sono pochi minuti dopo le quattro di mattina, quando mi sveglio col batticuore. Ieri sera, la Ventus Australis è salpata dal porto di Ushuaia, la città più meridionale dell’Argentina. Tra poche ore raggiungeremo Capo Horn. Fino all’apertura del canale di Panama, nel 1914, il percorso lungo il famigerato promontorio cileno Los Hornos fu una delle rotte commerciali più importanti e costò la vita a oltre diecimila marinai.

Mi affaccio alla gigantesca finestra panoramica della nostra cabina doppia, guardando il mare sempre più mosso. Velocemente mi infilo tre strati di vestiti, copro il tutto con la cerata portata da casa e mi avvio verso il salone della nostra nave di spedizione, dotata di cento cabine, quasi tutte occupate. Sorseggiando un caffè insieme ad altri viaggiatori mattinieri, osservo con ansia l’evolversi del tempo, mentre ci avviciniamo a Capo Horn. Col mare calmo, potremmo sbarcare per visitare la famiglia che abita nel faro, isolata dal mondo. Purtroppo, ad ogni miglio marino conquistato, il vento soffia più forte finché le creste spumeggianti si alzano di colpo, formando delle violente trombe d’acqua. La superficie del mare viene offuscata da un velo di schiuma grigiastra.

Il gommone Zodiac porta gli ospiti della Ventus Australis ai piedi del ghiacciaio. D’obbligo: i grossi giubbini salvagente.

Dopo una lunga attesa carica di speranza, arriva infine, alle sette di mattina, l’annuncio ufficiale via altoparlante: «Purtroppo non possiamo scendere a terra a causa del vento forza 14!» (Nota della redazione: questo corrisponde a una velocità del vento di 150 km/h; la più alta mai misurata qui è di 185 km/h) Le onde sono troppo violente per poter calare in acqua i gommoni Zodiac. Così, ci riuniamo tutti sul ponte per fotografare lo straordinario scenario. Solo aggrappandomi faticosamente al parapetto, riesco a rimanere in piedi. Intorno a me, il vento spazza via i cappellini dei miei compagni di viaggio.

Da lontano, avvistiamo il monumento moderno dedicato ai tanti marinai morti nelle potenti onde di Capo Horn: le ali stilizzate di un albatros, poiché la leggenda vuole che gli uomini morti qui, si siano trasformati in uccelli. Dopo un po’ invertiamo la rotta per dirigerci verso il canale di Beagle. Sfiniti dal forte vento e affamati, alle otto ci dirigiamo verso la sala da pranzo Patagonia per fare colazione. Poche ore dopo approdiamo nella quiete della baia Wulaia, situata un po’ più a Nord. Qui, viveva in passato la più grande tribù indigena, gli Yámana: un popolo nomade, legato al mare, famoso soprattutto per le sue canoe di betulla, utilizzate per la pesca e la caccia alle otarie. Il fatto che si portassero sempre appresso il fuoco fu il motivo per cui l’arcipelago venne chiamato dai marinai Tierra del Fuego, la Terra del Fuoco. Gli Yámana si sono definitivamente estinti verso la fine del XIX secolo, in parte per le persecuzioni da parte dei conquistatori europei, in parte a causa delle diverse epidemie da loro importate.

La baia Wulaia ospitava il più grande insediamento di Yámana, una tribù di nomadi marini. Il fuoco trasportato sulle loro canoe diede origine al nome Tierra del Fuego.

Di pomeriggio, ci attende il nostro primo sbarco, una passeggiata di oltre diecimila passi con diciassette piani di salita (misurati dall’i- Phone). Saliamo attraverso la possente natura della foresta di Magellano, dove crescono rare specie autoctone, tra cui lenga, coigüe, cannella e felce. Arrivati sul belvedere, vediamo ai nostri piedi l’intera baia, scoprendo in lontananza i soffi di un baccello di balene. Di ritorno a bordo continuiamo a goderci questo eccezionale spettacolo della natura, fino al tramonto.

Dopo un’ottima cena (particolarmente adatta agli amanti del pesce) andiamo a letto presto. Con la nave ormeggiata nella baia, ci attende una notte tranquilla, ma breve. Alle sei di mattina, la Ventus Australis salpa per raggiungere il braccio nord-occidentale del canale di Beagle, costeggiato dal ghiacciaio Della Pia e dalle montagne di Darwin. Quando ci svegliamo, la nave è stata posizionata in modo da offrirci attraverso le finestre una splendida vista del ghiacciaio più grande dell’America meridionale, alto incredibili cento metri.

«Il mare è pericoloso e le sue tempeste terribili, ma questi ostacoli non sono mai stati un motivo sufficiente per rimanere a riva». – Ferdinand Magellan

Ci infiliamo nuovamente le nostre cerate impermeabili, indossiamo il giubbino salvagente e ci avviamo in gruppo verso poppa, dove saliamo sugli Zodiac che ci porteranno a riva, da dove comincia la salita sul ghiacciaio. Più ci avviciniamo, più sentiamo il freddo prodotto dall’immensa massa di ghiaccio. Di tanto in tanto si sentono gli scricchiolii e i gemiti causati dai pezzi di ghiaccio che si staccano; anche i pezzi minuscoli producono un peculiare crepitio. Apprendiamo che i ghiacciai si muovono di circa 40/50 metri al mese e che il ghiaccio risplende in un’ampia gamma di colori, a seconda dell’incidenza della luce e della sua composizione. Prima di raggiungere il nostro porto di destinazione, Punta Arenas in Cile – e dopo aver esplorato anche altri due ghiacciai, il Marinelli e l’Aguila –, facciamo una piccola deviazione verso la disabitata isola Magdalena nello stretto di Magellano. Questa fu avvistata per la prima volta da Ferdinando Magellano, intorno al 1519, durante il suo viaggio di esplorazione. L’isola è famosa per la grande colonia di pinguini di Magellano. Durante una passeggiata possiamo osservare queste buffe creature da vicino; loro dividono l’isola con il loro peggiore nemico, lo skua, un grande uccello marino.

Sull’isola Magdalena, piccola e disabitata, facciamo visita ai pinguini di Magellano.

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